I permessi 104 permettono ai disabili o ai loro caregiver di prendersi cura delle esigenze del malato, ma quand’è che si verificano abusi? Entriamo nel dettaglio.
In Italia la legge 104/92, più semplicemente nota come 104, è finalizzata a definire i termini per l’assistenza e l’agevolazione dei disabili sul lavoro. In questa norma sono presenti alcune specifiche che si applicano sia al malato che a chi se ne prende cura.
Uno dei punti cardine della 104 sono sicuramente i permessi retribuiti sul lavoro. In altre parole chi ha la 104 può usufruire di 3 giorni di permesso retribuiti al mese, oppure di permessi orari frazionati in 1 o 2 ore al giorno, in base alle proprie ore contrattuali.
Di fondamentale importanza è la possibilità per una terza persona di usufruire dei benefici della 104. Questo diritto è pensato per fornire assistenza al disabile, ad esempio nel caso di un figlio che si prenda cura di un genitore anziano o di un genitore che si prenda cura di un figlio gravemente disabile.
Di fronte alla possibilità di fruire dei permessi 104, però, possono presentarsi varie problematiche. Cosa succede, ad esempio, quando usufruiamo dei permessi per svolgere attività che non hanno propriamente a che fare con l’assistenza al disabile? E cosa quando il datore di lavoro ci licenzia per giusta causa per aver usufruito dei permessi in modo apparentemente improprio?
Per rispondere a queste domande possiamo far riferimento a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione. Non sono rari i casi in cui la Corte ha dovuto attenzionare alcuni ricorsi fatti da soggetti licenziati per giusta causa, i quali lamentavano di aver subito un abuso da parte del datore di lavoro.
Con l’ordinanza n. 1227 del 17 gennaio 2025, la Suprema Corte ha preso in esame il caso di un lavoratore licenziato per giusta causa per non aver prestato sufficiente assistenza al suocero disabile. Il lavoratore ha poi fatto ricorso e il Tribunale, in un primo momento, gli ha dato ragione. A un secondo ricorso ha risposto la Corte d’Appello, che ha invece ribaltato la decisione dando ragione al datore di lavoro.
La motivazione, in questo caso, è dipesa da un calcolo puramente quantitativo del tempo dedicato al disabile, corrispondente a circa il 45% di quello che sarebbe stato calcolato come necessario. A un ulteriore ricorso in Cassazione, il lavoratore l’ha spuntata. La Corte ha infatti stabilito che è impossibile basare queste decisioni su calcoli puramente quantitativi in termini di tempo e assistenza dedicata al disabile.
Ma che anzi è necessario valutare anche alcuni aspetti qualitativi. Ha dunque stabilito che per parlare di abuso è necessario che si verifichino tali evenienze:
In questo, come in molti altri casi, la Corte di Cassazione si è espressa a favore del lavoratore, che dovrà dunque essere reintegrato a lavoro oppure compensato per via dell’illecito subito.
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